Qualche giorno fa sono andata a trovare Paolo Chiaberto che si dedica con grande passione all’antico mestiere della castanicoltura. A Villar Focchiardo c’è il suo castagneto secolare e biologico Pian del Conte che produce Marrone della Valle di Susa IGP, disposto su morbidi terrazzamenti, con una vista meravigliosa su gran parte della val di Susa. È autunno e gli alberi si sono già tinti di colori caldi, conferendo al paesaggio una bellezza che sembra appena uscita dalle mani talentuose di un pittore impressionista. Attraversare un castagneto in autunno è un’esperienza indimenticabile per i colori ma anche per i suoni! Ti accorgi che il bosco è materia viva e lo avverti dal peso dei ricci che cadono nel suolo, quasi a scandire il ritmo del tempo. Tutt’intorno affiorano ricci rigonfi di marroni: castagne belle, sode, perfette e dal colore invitante. Le guardo a terra e già immagino il loro dolcissimo sapore!

Mentre giungo nel bellissimo castagneto, oltre a Paolo, c’è sua moglie e anche i cognati. Tutti intenti a lavorare: chi raccoglie i marroni e chi pulisce il terreno con il soffiatore per foglie, agevolando la raccolta.
Quanto è grande il tuo castagneto?
Tutta la superficie è grande circa un ettaro e ci sono circa 120 castagni, alcuni anche secolari, tutti della varietà marroni di cui diversi li ho innestati io.
Quindi la pianta dei marroni ha bisogno di essere innestata?
Assolutamente sì. La pianta per fruttificare ha necessariamente bisogno dell’innesto e per il castagno se ne utilizzano soprattutto di due tipi: l’innesto a corona su piantine già ben sviluppate oppure l’innesto a zufolo su polloni dal diametro inferiore al centimetro. Quest’ultimo è quello tradizionalmente usato in Valle di Susa. Se osservi alcuni castagni si può ancora notare la cicatrice lasciata dal punto di innesto.

Il 2002 è stato l’anno funesto per il castagno in cui si è registrato il primo focolaio in Piemonte a causa del cinipide galligeno Dryocosmus kuriphilus, un piccolo insetto di colore nero proveniente dalla Cina e particolarmente dannoso per il castagno. Come sei riuscito ad arginare il problema?
Ha funzionato la lotta biologica con l’introduzione del suo antagonista naturale, l’insetto parassitoide Torymus sinensis che depone le uova nelle galle prodotte dal cinipide. Le larve del Torymus si nutrono e uccidono le larve del cinipide, controllando così la sua popolazione. Questo parassitoide è stato importato dal Giappone ed è considerata l’unica strategia efficace e sostenibile per ripristinare l’equilibrio naturale, contenendo così l’infestazione del parassita.

Ci sono degli animali che possono danneggiare il castagneto?
Sì, se vieni a vedere sotto alcuni castagni puoi osservare tutta la terra rivoltata. Sono i cinghiali che di notte vengono a mangiare bulbi, radici, funghi e tuberi. Non danneggiano le piante però rovinano alcune aree del terreno.
Un tempo per raccogliere le castagne si praticava l’abbacchiatura. Perché ormai è caduta in disuso?
Questa pratica è stata abbandonata nel dopoguerra perché richiedeva la collaborazione di molte persone con la raccolta di ricci ancora chiusi e l’allestimento della ricciaia nell’attesa che le castagne maturassero. Adesso è molto più pratico e naturale raccoglierle quando cadono a terra.
Questa annata è buona per le castagne?
Si, siamo contenti. Gli alberi sono belli carichi e la raccolta è promettente.

Quanto incidono i cambiamenti climatici nella castanicoltura?
Il castagno è una pianta che richiede piogge regolari e quelli della nostra zona hanno bisogno di un buon apporto d’acqua. Per questo ho creato nel terreno un sistema di irrigazione che va in funzione soprattutto nei mesi centrali dell’estate per non vanificare la raccolta in autunno.

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Conclusa la piacevole chiacchierata, ringrazio Paolo per l’ospitalità nel suo castagneto, contenta di aver acquisito nuove informazioni sul mestiere della castanicoltura. Mi avvio verso il sentiero di ritorno per concludere il sopralluogo non sapendo che da lì a poco, mi terrà compagnia il bellissimo canto del Picchio nero.

